venerdì 24 novembre 2017


Lascio le cose
nei posti in cui vado:
una moneta tra le pietre
una carta di imbarco,
gli appunti di un libro

da troppo a metà.

Si riempie la casa

di una luce nuova

si ritrova il sorriso

così come il sonno.

Parto e ritorno

lascio amore e ne trovo.

Non è forse anche questa

la fortuna?

A presto, si dice

e il cielo è solo aria,

minuti in apnea.

Io lascio le cose

nei posti in cui vado

è una promessa in silenzio:

arrivederci amore ciao.

venerdì 3 novembre 2017


C’è gente come me
che guarda la vita,
la vede passare
in veloci anteprime,
consacrata negli album
delle pagine e i blog.
Ne sente il racconto 
nelle rime di un rapper
e scorrere nei video
visti già da milioni.
Noi seduti alla sera
tra le aride carte
e le poltrone calde
di una visita inattesa
ci rifugiamo come tribù
devote al sacro vincolo
del precipizio,
perduti nelle serie
tutte d’un fiato.
Ci teniamo le mani
in segno di tregua
aspettiamo con calma
che il cibo sia pronto,
mai troppo lontani
nel barrio di poche vie
con i portici e il bar
a lambirne i confini.
Comincia il freddo
tu fatti più vicino.




Le parole cancellate,
il foglio bianco
e poi ancora
un piccolo verso,
è un ciclo di vita
anche questo alla fine
sono le mie creature
forse le uniche che posso.
Come una presa al fianco
timida e leggera
o una carezza al meglio
il suo vorticare piano
fende il tempo e si posa.
Intorno il vuoto assurdo
di mille e più metri quadri
noi avvinti, rampicanti
stretti per il poco concesso
un secondo che basta
o un sorriso tra la gente
senza la fatica e la distanza
dei viaggi e degli anni.
C’è un tango lì che aspetta
porta il tempo, sempre poco
ma sufficiente alle volte
per capire che è fortuna
questa vita strana.
E trovarla per caso
senza scuse, attese e bugie.
Il caso alle volte
è un amico nuovo
la speranza alla fine
che ancora di buono
a cercare bene
il giorno per noi
qualcosa riserva.
Una bella parola
che si incastona
alla pagina
preziosa tra le altre
perché di te mi parla.

venerdì 6 ottobre 2017

Ho chiuso un cerchio
di tratto leggero
compiuto l’atto
di fede e dolore.
L’interpunzione mia
di uomo sulla terra
è fatta di punti a capo
come chiodi nella carne
e virgole di pelle
quasi fossero sorrisi.
Come un compasso
torno al punto 
da cui parto.
Ho circoscritto l’affetto
in una geometria domestica
la mia circonferenza
inscritta in un quadrato.
Una casa ad esempio
è ciò che mi basta.

Ripensi mai
al tempo dei capperi?
Avvinti alla pietra
cocciuti alla resa,
credevi per sempre
li avremmo trovati
come il sale grosso
e le mani di nonna.
Dell’acre del pascolo
appena trascorso
o del zuccherino
dell’erba morsa
per farne trombetta.
Gonfiavi le gote
ti lasciavi cadere
lì dove i pini
incontrano il mare.
Quanto fiato avevi
nelle corse in sella
e le immersioni
di fine settembre.
È vita che resta
anche se passa.
È il conforto di malinconia
nelle ore di tristezza.

giovedì 14 settembre 2017



Dissuaso dal vivere,
genuflesso alla vita
così mi sento padre
quando le costellazioni
fanno posto al primo sole.
Come una condanna 
inferta alla nascita
è l’essere uomo, 
corpo in gara 
un milite disabile
alla guerra come alla leva.
Da piccolo correvo
allo schiudersi dei fiori
saltavo i cespugli 
di belle di notte,
leccavo ogni cosa.
Ho imparato la paura
negli anni a venire
insieme al vizio e la nebbia,
i limiti di questo mondo
e il posto in cui stare.
La pazienza rimane 
e una pace che agogno
il declivio d’un tratto
o la notte che passa
senza lasciare traccia.

giovedì 17 agosto 2017





La solitudine del cameriere,
fuma una sigaretta veloce
prima del turno,
fissa la punta che sfalda,
si screzia dalla fretta
ci soffia su per pareggiarla.
Il badante straniero
sul balcone conta
le automobili sparute
di questo ferragosto
trascorso in città.
Giorno di brividi
di un freddo che non conosco,
di sonno pesante
e vino fresco.
Dopo lo spettacolo struggente
di un formidabile infelice,
come del resto io
e come tutti noi in fondo.
Ai piedi di un convento
con la brezza leggera
che ci ha ridato il respiro
e la voglia di piangere ancora.
Gainsbourg infine a salutare
la fine dell’amore più violento.

martedì 1 agosto 2017




C’era un vecchio per strada
sul lastricato ribollente
aveva sandali, calze bianche
e un panama liso
solo da un lato,
canticchiava a mezza voce
un Celentano degli esordi
a rimestare la giovinezza
e allenare la memoria
che inceppava
come un disco
proprio al centro dell’inciso.
Così il ritornello
non arrivava mai,
lui allora si fermava
e riprendeva dall’inizio.
La canzone io la so
dal principio al gran finale
la intono di tuono nel silenzio
di un mezzogiorno d’inferno
Il vecchio ora sorride
ma non si cura di me
come fossero
le mie parole
portate dal vento fiaccato
un refolo di passato
forte bastante
a rinvigorire il passo
e conchiudere il cammino
ancora per un giorno.

martedì 20 giugno 2017


La sera ogni giorno
cucino per due
il tuo lato apparecchio
e riempio il bicchiere
lo guardo in silenzio,
poi prego dio.
è dopo la cena
che siedo alla riva,
e aspetto il ritorno 
lo faccio cantando
al mare e al cielo.
Aspergo di briciole
la battigia umida,
cammino per ore
finché il cielo rosseggia.
A piedi nudi 
avverto il mio peso
così come la tua assenza.
Di ritorno non trovo 
una scarpa sul molo,
penso a un dispetto
o uno scherzo d’amore
a te che sei lì
da qualche parte
tra i flutti e le secche.
Io intanto spero
che nulla mi costa,
il sogno più assurdo
è la mia fede tenace. 

martedì 16 maggio 2017



La discrezione cattolica 
del tuo esser così bella
come lenzuolo d’organza
non cela, non può
implora soltanto
maggiore attenzione
pretende lo sguardo
e modi educati.
Non appartiene, non più
a questo tempo nostro
assurge a una dimensione
che la terra non teme
sorvola e orbita piuttosto
seppur fatta di carne.
La mia pelle dimentica
per questo la incido,
con il tempo scolora
e io maculo le cosce,
le costringo di corda
mentre tu, mia cara
le carezzi di nylon.
A me questo sole
ferisce soltanto,
e adesso nel buio
che trovo il conforto,
all’ombra poi infine
affino la vista
e ti vedo diafana
che dormi e risplendi
di luna e di cielo.


   

mercoledì 12 aprile 2017

Solo tu sai,
le picchiate spettacolari
e i tornanti mozzafiato
conosci la terra
e il mio starci sopra
come in equilibrio.
Hai imparato poi
cosa mi accende
e cosa mi carezza
come un balsamo,
avverti quando dolgo
e se la sera fingo.
Quando parlo da solo
prendo piccoli appunti
trapuntano pochi metri,
sporcano le pagine
tarlano le ore tarde.
Mentre orbiti e plani
lasci che tutto si compia
la mia eclissi e il ritorno
la rivoluzione del giorno
la resurrezione e la croce.
Solo tu sai,
del mio rifugio fatto di storie
di come canto al mattino
e farfuglio la notte,
come la musica triste 
non mi fa sentire solo,
fa bene alla malattia
ne appanna il dolore.
Il mio percuotere disperato
a cavare sangue 
a stillare goccia a goccia
il grido che trattengo,
l’urlo che abortisce
graffia la carne e la gola.
E io aspiro e ingoio
trattengo nello stomaco
a graffiarne le pareti
che producono un rantolo
sembrano quasi fusa
come di bestia che dorme.


mercoledì 22 marzo 2017



La malattia che ne faccio
col tempo ci lascia
solo un flebile dolore
e un segno leggero,
come di una cicatrice
che hai sotto al mento,
la caduta da bambina
che ti ha corretto il sorriso.
Ora svirgola a sinistra
un angolo è poco più alto,
lo guarderei per giorni
quel centimetro di pelle
la perfezione che alberga
nelle cose fuori posto,
il miracolo delle lacrime
quando si è felici.

lunedì 13 marzo 2017


Fortuna che la tramontana
confonde l’udito
e asciuga gli occhi,
nel vuoto delle strade
solo tramestio di passi
per la la maratona
che ha zittito la città.
Ho un libro nuovo in tasca,
un collare rosso di fiamma
e la testa che squarcia
il silenzio contrito e sordo
di questa domenica salmastra
come le lacrime tue.

sabato 4 marzo 2017


La sforbiciata di un bambino,
il naturale scalare le spalle del padre
gli afferra le mani, si abbandona.
La sospensione dei fuochi d’artificio, 
la festa e l’illusione di essere vivi.

C’è la pioggia a ricordare
quanto piccoli siamo noi
quando incombe il freddo vero
che frana, uccide e copre tutto,
in questa nevicata del 17
che ricorderemo come nostra.
Dopo le febbri e i sensi di colpa
cerchiamo nuove sostanze
per dimenticare l’anno che viene.
Ovunque andremo lui ci sarà
come un santo che non protegge
a fare ombra su queste mura
non più bianche come un tempo.
Ci si abitua a quello che manca,
basta non farne una malattia.
Mi chiedo soltanto,
se avrò la forza
di riparare le crepe nel solaio,
e quella per mettere a dormire
una volta per tutte,
i mostri e le falene di ogni notte.

giovedì 2 marzo 2017



È come un’incudine
questo trapasso
di stagione
ha il ricordo del freddo
e la promessa del mare.
Cominciamo a sedere
per strada,
ai tavoli del bar.
È abbacinante il candore
della ragazza in divisa,
augura a tutti buona domenica.
Io leggo la morte secondo Toma
e penso al battere del martello
come di un orologio il rintocco
che segna la vita e il suo passare.
Felice per mia sorella
e il suo ridere altrove
mentre la voce leggera di musica
riempie la piazza
e fa bene al cuore.


E io pensavo
all'amore detto
che si fa vapore
e poi vola via,
quando diventa parola
lascia lo stomaco,
scompare.
Così anche tu
un segreto del cuscino
dovevi rimanere,
eri il sentimento
che non vuole le piazze,
che il sole rifugge,
eri stella nera.
Succede, ho capito,
ci sono cose
che non si possono dire
ma soltanto vivere
come il tempo minimo
concesso a una farfalla.


Alle volte di notte
la vita è leggera,
si intride di rosso.
A me dimenticare
serve ancora.
Per tenere il passo,
seguire il ritmo,
tirare il freno.
E fare buchi
ai ricordi affastellati
come gli alberi
sulla provinciale.
Che stupore
lasciarceli alle spalle
e restare al buio
senza niente intorno
dispersi e insieme
nella campagna
come nel sonno.
E