sabato 6 ottobre 2018



Avevo un corpo vergine
senza segni e cicatrici,
uno sguardo puro 
“Mi innamoravo di tutto.”
Ero qui dove sono adesso
in una pineta battuta
dal nuovo cantico del maestrale
e non sapevo ancora
di questo nuovo ritorno
diverso come me oggi
che doloro e sento freddo
nel mio voto di silenzio
“che ha il volto delle cose
che ho perduto.”
Il rollio del mare a riva
mi riporta da te
lo sfarfallio di luci al tramonto
ancora mi trattiene
e poi mi porta a largo
come se ancora potessi
afferrare l’ultimo raggio
di questo sole inutile.
Era il mio sogno di bambino
nuotavo forsennato verso la sera
sperando di trattenere il giorno
e con lui il tempo felice. 
Il pino marino è come una mano
che trattiene la costa che erode
così come me
che mi sembra di sparire alle volte
faccio esercizio ma poi emergo
torno alla vita e alla terra.
Gli ulivi mutili di mio nonno
sono come la mia generazione 
malata e morente.
Ascolto questo tempo lontano
e una radio inchiodata
a una frequenza anni 60.
Arriva presto la sera
e così la mia sete
maledetta compagna
di quest’uomo a metà, 
che ha fortuna però 
compagni di viaggio
e un quaderno per scrivere.
Può bastare anche oggi
questo stare al mondo.
Mentre nuoti con me 
so di essere giusto.


Dell’ amore e altre cose amene
come guardarsi negli occhi
abbiamo bisogno noi
e restare fuori la notte
soltanto per vedere
Marte mai così vicino.
Avevi uno sguardo 
che era una promessa,
come un refolo di pace 
sulla litoranea per Gallipoli.
Prima del nuovo assedio
c’è la vertigine blu di una baia
dove affogarono gli elefanti di Pirro,
“é il posto rosso dei Diavoli” ci dicono.
Nei luoghi dorme la guerra,
a me ha salvato 
da sempre 
la paura.
Uno stormo di ciclisti per la via
punta dritto verso la fine
e io gli affido questo pensiero di morte.
Mi tengo stretto questo vuoto, 
la tua assenza
e il mio appuntamento con la luna e i pianeti.


martedì 21 agosto 2018





La pedina di una dama magnetica
è piccola come un seme, 
un neo sulla coscia di mia madre.
un bottone in madre perla.
Se il bottone tiene insieme 
la mia camicia di lino,
così la pedina attraversa
la diagonale di un’estate
di trent’anni fa.
Il neo infine lo ricordo bene,
posavo la guancia sulle gambe di Donata
la sera quando ero stanco
e lo fissavo finché il sonno vinceva.
Basta poco per essere felici, 
cose piccole come semi, 
che hanno dentro la vita, 
quello che siamo stati
e quello che saremo.


mercoledì 27 giugno 2018



In un giorno come tanti
afrore come di fuoco appena estinto
alla fine del maggio più triste.
Senti ancora il sangue che scorre
più veloce al mattino 
quando passi tu.
Una linea gotica mi difende 
dall’abbaglio del mondo 
che fai leggero
come la cenere sospinta
della vampa quasi spenta. 
Quello che resta sulla pelle
è un calore vivo 
che irradi e risplendi,
non quello asfissiante 
di questo giugno inclemente
ma il tepore di carne che ha voglia
di ballare in un rave
e fermarsi solo il necessario
in un letto magari
per fare l’amore bene
fino a spegnersi l’un l’altra.
E farsi acqua oppure brina
seguire un vento nuovo
e superare le barriere
le difese mie e i confini tutti.

giovedì 3 maggio 2018



Il tulipano scolora con i giorni,
reciso immola la sua bellezza
regala il suo miglior tempo
alle mura e ai pochi spettatori,
nutre l’amore mentre muore.
È lo spettacolo della vita
che si consuma in un vaso,
verrà una fine di acqua putrida,
il funerale distratto del sabato sera
e la festa del mercato domenicale.
Noi ci prepariamo come le fresie,
chiniamo il capo e aspettiamo
la benedizione della santiera.
Il biancore delle calle orgogliose,
non hanno paura del cielo,
abbracciano il frutto
del seno delle nuove madri
nettano la malattia,
accompagnano i nuovi angeli.
Come il glicine abbraccia la cuspide
così le mie radici ferme
sanno che è questo e non altrove
il posto per me.

martedì 6 marzo 2018

























Le cose belle come te
non hanno a che fare con il tempo
non temono le ricorrenze
perché sono festa degli occhi
in ogni giorno che ci è dato.
Hanno luce intorno
come gli animali degli abissi
il nimbo a cingergli il capo
e farti eterna come le sante.
Così per me sarai per sempre
nel primo istante e nell’ultimo,
è così che ho smesso di contare,
ho chiuso nel cassetto l’orologio
riposto accanto al calendario.
Invecchiamo, certo, lo sai,
anche se ancora ti chiamo piccola.
Delle volte la sera ci contiamo i difetti
convinti che la cura coincide
con l’amore e le sue forme strane.
Il mondo lo abbian chiuso fuori
insieme alla roba vecchia
e ci serve ancora di meno
lavoriamo di sottrazione,
rimarranno poche cose
e te con loro, promettilo.

martedì 2 gennaio 2018


Di braccia gracili
e gambe veloci
ti posso dire,
di un balcone poi
a pochi metri la stazione.

Della mia infanzia

al secondo piano

con i treni a due passi

e la vita adulta alle porte.

Sognavo paesi lontani

alla fine delle rotaie,

fumavo sulla breccia

o poggiato alle carrozze

lasciate a riposare,

in attesa come noi

di un viaggio o qualcosa.

Avevo amici un tempo,

giocavamo con la morte

come solo chi tracima vita

è capace di fare.

“Non sarai mai pugile”

mi dissero un giorno

“tu hai la forma di chi scappa”.

E così feci alla fine,

presi il rapido che fende l’alba.

Trovai all’arrivo una casa

e chi mi insegnò quello che sono,

conobbi il primo amore

e imparai l’addio.

Ha un sapore il ritorno,

agrodolce sul palato,

come di sangue in bocca,

dopo un montante in pieno viso.

Come si ama il carceriere,

così io torno a chi mi ha fatto male.