lunedì 7 ottobre 2019




Ho aspettato un giorno, piccolo,
accolto una nota di grigio
nella barba e nel cuore.
Ho curato l’ansia e la nostalgia
fino a sentirne le fusa.
Ho siglato il passato con una firma
e visto il mio nome inciso
su una pietra di marmo.
La vita è tenace 
quando sfarina come pietra,
sembra sia solo una cosa da poco.
è invece poroso il dolore di chi ami
lo indossi con eleganza 
come fosse una gonna,
è una cicatrice perfetta 
a memoria di un nuovo evento.
Tutto va in pari mi dici:
per chi va via qualcuno arriva
e al silenzio sopraggiunge un vagito,
all’inedia dei nostri giorni
una fame portentosa e ferina.
Ci sono le lacrime di gioia
e i graffiti dei nuovi nati
sulle mura del “gruppo parto”.
Nel 17 luglio più fortunato di sempre
cambia ancora la prospettiva
e il mondo è una manciata
di centimetri e grammi.
è tutto lì il nostro retaggio 
e il futuro al tempo stesso.










C’è una luce di quarzo citrino
e una pineta fatta di vento
a guardarmi le spalle.
Che non può far male
quest’acqua e questo giorno
se non mi allontano troppo.
È solo mare penso
e non ne vedo la fine,
fa paura quasi tutto
ed è bello da morire.
Quando un solo respiro
fa risuonare le volte
nei mattini di agosto
è tempo di pace
un accordo di silenzio
fatto nei sotterranei
di una città che brucia.
Ho contato fino a 22
la mia apnea ridicola
e la più bella di sempre.
Ho conservato il numero,
ne ho fatto un simbolo
in un rintocco di lingua.
Se lo traccio sul foglio
è come una curva aspra,
un cambio di rotta
o una coppia di cigni,
è la capriola e la via
che porta al terzo cielo.
“Sia” è la parola che scelgo
“Let it be” la mia canzone.
Se lo guardi bene
il tramonto conserva
sempre un attimo di luce.
Non è buio “ormai”,
c’è ancora il sole,
quello che mi serve.